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venerdì, 26 aprile 2024 ore 23:54
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IL RICORDO APPASSIONATO CHE NE FACEVA NICO

“Con Pio cominciò così…”
L’epopea dei Cavernicoli

In occasione della morte di Pio Pollicino, uno degli storici componenti dei “Cavernicoli” Nico Marino aveva scritto per la “Voce” un ricordo dell’amico. Riproponiamo quell’articolo perché contiene una testimonianza diretta sulla nascita, sulla vita e sui successi del gruppo.



di Nico Marino

Comporre un ricordo della figura di Pio Pollicino non è facile: farlo equivale a raccontare un’epoca, a lasciare immaginare, a chi non ha vissuto quell’esperienza, la voglia di fare dei trascorsi anni ’60, certamente un’appassionante storia. La storia è quella di Cefalù, l’epoca quella di una partenza alla volta di un traguardo sognato e mai raggiunto!
Per quel che mi riguarda, cercherò di raccontare la parte più personale, la storia di 40 anni di attività artistica insieme e di un’amicizia lunga ben 44 anni.
Pio era nato a Palermo il 19 luglio del 1940, aveva vissuto vicissitudini che lo avevano portato, adolescente, persino a Napoli. Soggiorno del quale spesso parlava e che aveva, per certi versi, mitizzato; poi aveva appreso l’arte della stampa lavorando col padre, lo zio Pietro, il cui sottile umorismo è fresco nella nostra memoria.
Ho conosciuto Pio, o meglio l’ho visto per la prima volta sul palco della Festa del SS. Salvatore, in piazza Duomo, a Cefalù, nell’agosto del 1965: faceva parte del cast di artisti al seguito del mitico Maestro Castronovo. Su quello stesso palco, quella sera, si sarebbe esibita la vincitrice del disco per l’estate, Orietta Berti. Il presentatore è Luciano Gabrielli “della Rai Tv”. Io ero un giovane diciassettenne, in quel tempo incasellavo nella memoria le persone secondo la loro somiglianza con gli attori del Cinema. Vidi Pio – mi pare abbia cantato “Se stasera sono qui” – era alto, mingherlino ed ossuto. Lo incasellai come Ubaldo Lai.
Amici comuni poi ci fecero conoscere. Pio presto ci conquistò col suo modo di fare e con la sua umanità. A Cefalù egli volle iniziare un’attività indipendente, inaugurando la tipografia in Piazza Duomo, prima da pendolare, con la sua 1100 color cappuccino e avana, poi stabilendosi definitivamente a Cefalù. Scoprimmo allora il Pio cantante, fiero del suo prozio, il tenore Salvatore Pollicino che aveva inaugurato la sede Rai di Palermo, ed il Pio pilota automobilistico.
In quegli anni gravitavamo attorno al Ci.Ca sub Cressi (Circolo Cacciatori Subacquei di Cefalù), Pio fu dei nostri anche se non sapeva nuotare (non imparò mai). Lì nel magazzino del Bastione ci riunivamo, soci di estrazione ed età diverse, e in un magazzino adiacente ascoltavamo buona musica, durante le prove del gruppo The Apaches di cui faceva parte il nostro Gigi Nobile. Era il tempo delle allegre feste della matricola che fungevano anche da catalizzatore di attività sociale. Per quelli di noi che ancora frequentavamo le superiori, Pio era come un fratello maggiore, con uno spiccato senso paternalistico. Noi studenti, lui libero professionista, economicamente indipendente, lui che mangiava sempre “fuori”, lui che aveva la “sua” macchina, lui che comperava le sigarette (Amadis) a pacchetto, lui che usciva sull’elenco del telefono! La festa di diploma (1966) di mio fratello Giovanni e di altri amici, combinata con quella successiva del mio diploma nel 1967 fece unificare due diverse comitive di amici.
Quell’estate costruimmo lo “zatterone”, oggetto galleggiante non identificato, progetto di Peppe La Rosa, assi e travi assemblate, come la tolda di una nave, su grandi bidoni galleggianti. Lo “zatterone” divenne elemento catalizzatore di nuove amicizie. Il Ci.Ca Sub perdeva forza e si sentì il bisogno di nuovi spazi aggregativi. Si costituiva così l’associazione che faceva capo alla Caverna i cui battenti furono ufficialmente aperti il 20 dicembre 1967. Con Antonio Augello, Giuseppe Cicio, Pippo Maranto, Peppe La Rosa, Gigi Nobile, Romilda Palamara, Leandro Parlavecchio, Mara Vazzana e Pio Pollicino cominciava l’avventura de “I Cavernicoli”. Con un maestro di vita come Giovanni Agnello, imparammo le canzoni di “come ridevano i nostri nonni”. Pio cantava Tenco, io De Andrè, Leandro “Vorrei la pelle nera”, Gigi si destreggiava tra il nostro gruppo e i “capelloni” The Apaches 91. Poi, sempre tra amici, noi si cominciò a proporre i testi del Bagaglino. Nell’estate del 1968 avevamo già uno spettacolo misto di scenette, canzoni e parodie, Pio nel canto faceva la parte del leone. Per caso capitarono dei turisti, poi il passa parola: quell’estate la Caverna spopolò divenendo tappa d’obbligo per turisti e personaggi.
Cefalù sbocciava e sbocciava la nostra voglia di fare. Pio “cavernicolo” a tutti gli effetti cominciò pure a cambiare aspetto. Oggi si direbbe, lavorò molto sulla sua immagine, una bella barba, infatti, alla maniera degli esistenzialisti, gli fece perdere l’aria smunta del magro, e mentre si divideva tra il lavoro e il ristorante, dove da single mangiava quasi tutti i giorni, riusciva a frequentare la Caverna e a soddisfare la sua passione per le corse automobilistiche. Partecipò a diverse importanti gare, persino al Rally di Montecarlo, ed ebbe il piacere di correre la “Targa Florio”, l’ultima edizione, noi – ovviamente scherzando – gli rimproveravamo di averla fatta “chiudere”. Il ristorante Il Gabbiano, di Gaspare Basile, fu per Pio fonte del fatidico incontro con sua moglie Maria.
Si chiudeva l’era dello “zatterone”, diventato soppalco alla Caverna, e si apriva un nuovo orizzonte, fatto di spettacoli e serate, quando cominciammo ad andare in giro per la Sicilia. Pio era solito riassumere la nostra attività ricordando le nostre trasmissioni radiofoniche con la Rai, l’attività televisiva culminata come ospiti fissi per due stagioni a “Buona Domenica” con Maurizio Costanzo ma andava fiero della nostra attività discografica: i tre LP, i tre 45 giri. Proprio nella discografia viene fuori la voce solista di Pio Pollicino che ha interpretato alcune delle arie più famose del nostro repertorio musicale: Comu l’unna e Amuri e fantasia del maestro Vincenzo Curreri; Negrita, struggente serenata “Déco” e – nel ruolo del cavaliere – la celeberrima “ballata inglese” intitolata La cintura di castità. Pio Pollicino, personaggio dal carattere forte e dalla grande umanità, parallelamente all’attività artistica svolgeva quella di tipografo.
Kris Mancuso, giornalista dell’Ora, in quegli anni lo aveva battezzato il Frank Sinatra delle Madonie, io, nella presentazione dello spettacolo, aggiungevo che Pio era così conosciuto in America, che a Frank Sinatra lo chiamavano il Pio Pollicino americano. Lui, su diversi palcoscenici, riuscì a cantare la tanto sognata lirica quando mettemmo in scena il Cabaropera, una bella parodia del melodramma, ben 25 minuti nei quali si sfruttava al massimo la voce da tenore di Pio e quella da soprano di Leandro. Fu un pezzo che ci diede grandi soddisfazioni.
Pio andava molto fiero dello strumento che suonava e col quale era molto abile: il marranzano. Non saliva sul palco se non ne aveva almeno uno infilato nella cintola, lo estraeva con destrezza al momento del bisogno, come uno sceriffo fa con la sua pistola. Ricordo una delle nostre prime esibizioni nella sala A della Rai, in Via Asiago, a Roma. Il fonico, dalla regia, si accorse della presenza di quello strumento e chiese a Pio di permettergli di registrare due diverse connotazioni di suoni. Una veloce e squillante, una lenta e languida da tenere da parte per eventuali sottofondi. Pio fece del suo meglio e, iniziando con il pezzo veloce, suonò con gran foga, senza tregua, restò senza fiato diventando paonazzo. Il fonico, allora, gli disse: «Forza, adesso il pezzo veloce!». Vidi il terrore dipinto sul suo volto ma con stoica rassegnazione si produsse in un’esibizione che lo lasciò ancor di più senza fiato e più paonazzo che mai in viso, ma riuscì nell’intento.
Sabato 24 gennaio, alle 14,30, Pio ci ha lasciati per sempre segnando la fine di un’epoca, di un’epopea che meriterebbe di essere raccontata. Noi continueremo a ricordarlo. Egli fa parte di noi, del nostro modo di essere, persino del nostro linguaggio nel quale, prepotentemente, si sono imposte le sue frasi tipiche e i suoi modi di dire.
Ora è il momento di salutarlo. Quello che sto per dire, non vuole essere retorica, forse poesia, sicuramente sogno, ma sono certo che lassù assieme a tanti amici e colleghi Pio stia già intonando un canto paradisiaco perché, lui ne era certo, “nulla è impossibile”. Questa la filosofia che propugnava, questo il messaggio che ci ha lasciato e che noi dobbiamo raccogliere. Ciao, Pio.
18.10.2010

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