04.08.2022
Filippo Culotta
Salvatore Cicero, Salvuccio per i parenti e gli amici, nacque a Cefalù l’11 agosto 1940 e morì, in giovane età, il 3 agosto 1982. Il mese di agosto si legò a lui per la gioia della vita e per il dolore della morte.
Non voglio, qui, ricordare la sua luminosa storia umana né, tantomeno, quella ben nota e altrettanto splendida professionale, quale grande ed umile maestro di violino che lo rese noto in tutto il mondo. Al ricordo che ho di lui voglio, però, associare anche una breve strofetta, breve ma intensa, come la sua vita e che, per la fraterna amicizia intercorsa, di vero cuore, sento di dedicargli.
Ci conoscemmo viaggiando in treno. Nei primi anni ‘50 io frequentavo gli ultimi anni dell’istituto tecnico commerciale e lui iniziava a frequentare il Conservatorio, a Palermo.
Eravamo in parecchi di Cefalù che, tutti i giorni, nel periodo scolastico, ci ritrovavamo ogni
mattina, insonnacchiati, alla stazione per prendere il treno e, nel primo pomeriggio, in quella di Palermo, per fare ritorno a casa.
Così come noi, durante il viaggio, profittavamo di quelle ore per ripassare qualche lezione, anche lui, col suo violino, faceva altrettanto. La cosa sorprendente era che, ogni volta, si radunava tanta gente, attirata da quella dolce musica, e noi restavamo tutti incantati con il libri aperti sopra le ginocchia, ad ascoltarlo.
La sua bontà, il suo sorriso, i suoi capelli biondi, folti e ricci e quella dolce musica che lui era capace di creare, sono i ricordi più belli e incancellabili che ho di lui.
SALVUCCIU
nt’austu la luci
nt’austu la muorti
'a tò malasuorti
stutò ss’uocchi ruci
pisanti 'a tò cruci
r'a vita ristinu
ca lu viulinu
sunanti cunnuci
'un c’è la tò vuci
ma lu ruci suonu
'u rrisu tò buonu
chi 'n cielu stralluci