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LA GEOBIOGRAFIA DI NINO ANSELMO

Lungo viaggio tra le scarpe, la vita come carisma soave

Quando ho dato la mia conferma a Nino Anselmo in merito alla presentazione di “Scarpe diem – Geobiografia di Nino A.” (Albatros editore), gli ho detto, in tono ironico, che mi sentivo pronta a sfidare la sorte delle ore 17.17 di un venerdì 17. In realtà la vera sfida non era quella indicata, ma consisteva nel presentare il libro di un autore che non conoscevo, Andrea Chiesura, che parla di una persona, Nino Anselmo appunto, che non conoscevo. Di entrambi, poche notizie: del primo si sa (quarta di copertina) che è avvocato di Conegliano, “dirigente della Federazione italiana biliardo sportivo, consigliere regionale del Coni, vive in mezzo al verde con la compagna, due figlie, due cani, una gatta, un’amaca e qualche pomodoro…”). Nient’altro… E le mie ricerche non hanno aggiunto molto a questo quadro… Qualche indizio, certo, ma nulla di più. Del secondo, qualche fugace informazione da suoi conoscenti, qualche sua parca indicazione, ma nient’altro. E allora? Dovevo provare a conoscere entrambi attraverso il libro, ma anche questo non è stato agile perché l’autore non ha usato la terza persona che crea sempre un certo distanziamento con la voce narrante, ma la prima persona, in un’assoluta sovrapposizione di piani narrativi in cui è difficile scoprire il confine tra ciò che appartiene all’uno e/o all’altro. Lo scarto tra Andrea Chiesura e Nino Anselmo si avverte solo nel prologo (e nei ringraziamenti finali…), dove l’autore racconta di avere conosciuto Nino nel 2011, in un particolare momento della vita del protagonista dell’opera, un momento di crisi in cui voleva dedicarsi a qualcosa che gli piacesse davvero: il biliardo. Comincia con “garbo e mitezza”, con un “carisma innato e soave”, con una silenziosa presenza e con sguardo malinconico a frequentare il circolo del biliardo che, dopo una chiusura, riprenderà l’attività come associazione Otello e Nino sarà scelto da tutti come presidente. C’è una notazione interessante: a biliardo Nino è “scarso andante”, perché è come un ragazzo alle prime armi, con tutta la tensione e l’emozione che possono tirare brutti scherzi: e questa è sicuramente un’informazione utile per comprenderne la personalità. Inoltre, nel prologo l’autore parla dei tanti soldi di Nino, ma anche del suo distacco, della leggerezza e dell’autoironia (che caratterizzeranno tutta la narrazione) che non fanno mai sentire l’interlocutore a disagio o intimorito dalla sua posizione economica, tanto che Andrea Chiesura sente la necessità di avvisare il lettore che eventuali stonature sono da attribuire alla sua penna: ma di stonature io non ne ho sentite e, pertanto, il libro riesce perfettamente nel percorso di identificazione del lettore con il protagonista, come se la voce dell’autore scomparisse per farsi sentire di tanto in tanto con qualche ironico intervento (una sorta di “cantuccio manzoniano”), soprattutto nelle sue disseminate interlocuzioni con il lettore, gli inviti a una pausa nella lettura o a prendere qualche caffè ristretto (ristrettissimo, poche gocce) per riprendersi da qualche capitolo un po’ più tecnico. Oppure quando l’io narrante preferisce non fare il nome di qualche persona per evitare di finire in qualche aula di giustizia “e magari farmi difendere proprio da chi, in questo momento, sta scrivendo al posto mio”. Scarpe diem: il titolo ci dà più di una indicazione. Innanzi tutto ci rinvia a Orazio, al suo invito ad afferrare il giorno (o a cogliere l’attimo) e capiremo perché. Le scarpe, inoltre, con polisemica valenza, sono simbolo di strade, di percorsi, di inciampi, di corse, di salite, di discese e rimandano a uno dei mestieri a cui il bambino Nino sembrava destinato dalle sue origini e dai suoi genitori, Nicolò e Sabatina: panettiere, manovale, calzolaio. Da giovane Nino ha svolto sia il mestiere di panettiere che di manovale, non quello di calzolaio, il primo lavoro del padre. Ma non dimentichiamo le scarpe… possono riservarci sorprese. Il libro ha anche un sottotitolo: “Geobiografia di Nino A.”, cioè una biografia nei luoghi, nei tanti luoghi conosciuti da Nino nel corso della sua folgorante carriera dirigenziale e imprenditoriale, ma è anche un testo di geopolitica e geoeconomia, basti pensare alle visioni economiche di singole persone da lui incontrate (ad esempio la visione sociale del capitalismo di Gaetano Marzotto) o di interi paesi con le loro diverse situazioni politico - economiche (l’Algeria e la Scandinavia – e se le cito insieme un motivo ci sarà -, la Siria, la Libia, il Giappone, il Benin, il Kuwait, l’Arabia Saudita, il Libano… ) in una caleidoscopica galleria di personaggi e di episodi, ora divertenti, ora drammatici, ora farseschi ora tragici, come la vita, in cui non sempre puoi separare il lato comico da quello doloroso. Ed è per questo che, inoltre, a un’attenta osservazione, il libro è un testo in cui sottotraccia ci sono profonde riflessioni sul senso della vita. Il libro, allora, si può leggere a diversi livelli: è possibile una lettura veloce perché Andrea Chiesura adotta uno stile ironico, leggero, accattivante, talvolta colloquiale, anche nel linguaggio utilizzato, per cui si possono percorrere anche gli argomenti più complessi e più tecnici con rapidità, senza intoppi o intralci, conseguendo una visione d’insieme completa e ricca. Ma gli spunti di approfondimento storici e geopolitici sono tanti e, quindi, il lettore che volesse sostare su un tema, che volesse conoscere meglio una parte del mondo, ha modo di viaggiare, di soffermarsi sui luoghi e sui paesaggi, sulla storia o sugli usi e sulle mentalità, e scoprire l’anima di interi popoli. (…) La vita propria e altrui viene sempre osservata con grande ironia, sapendone cogliere tutte le sfumature ed evidenziando come in ogni circostanza ci siano elementi di fortuna e di sfortuna e si vede già all’inizio quando si parla del padre Nicolò, che ha la sfortuna di essere nato nel 1917 e la fortuna di sapere suonare uno strumento, di conoscere il signor Emilio e, addirittura, la fortuna di trovarsi nel pieno di un bombardamento. In ogni situazione c’è un’altra faccia da vedere e questa certezza percorre tutto il libro e, d’altra parte, la citazione di Oscar Wilde in epigrafe è la vera chiave di lettura del testo e, oserei dire, della vita: “Un pompelmo è un limone che ha avuto un’opportunità e ne ha approfittato”. Quindi, bisogna saper cogliere le opportunità, anche quelle piccole, e sentirsi fortunati per quello che si ha. “Potevamo dirci fortunati” ripete più volte Nino Anselmo nel libro come un’anafora poetica. E in famiglia si era fortunati perché c’era il pane e perché tutti avevano un paio di scarpe (ritornano le scarpe) e poco importava se i pantaloncini corti dovevano essere utilizzati anche nel freddo dell’inverno, che in Sicilia può, talvolta, essere duro. Fortunati perché in estate si andava in una casupola in campagna dai nonni e si giocava con Marco, l’asino, un po’ come gli indiani, un po’ come in un rodeo, anche se non si sapeva neanche chi fossero gli uni e che cosa fosse l’altro. Fortuna e coraggio: coraggio di fronte alle difficoltà, coraggio appreso dalla madre, come viene detto due volte nel libro, in un simpatico copia e incolla offerto da word (bravo l’autore, che ci fa vedere anche qualche tecnica di scrittura, in una sorta di metanarrazione che si incontra in un paio di occasioni, e che gioca con il lettore, mettendolo quasi alla prova per vedere se ricorda di avere già letto quelle righe!). Fortuna, coraggio e un dono: quello di essere bravo a scuola e di avere incontrato insegnanti che hanno “deciso” che il ragazzo doveva studiare, così alle elementari, e poi alle medie, e poi alla ragioneria, fino al conseguimento della laurea in Lingue. La maestra Matranga, il prof. Difina, la professoressa Guercio, il prof. Punzi: il loro suggerimento non si discuteva, l’avevano detto gli insegnanti. Punto. Tanti sacrifici, ma punto, ripetuto tante volte, stilisticamente volto a sottolineare ciò che non si discute. E a ogni passaggio scolastico sembra corrispondere un trasferimento della famiglia alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. “Non avevo niente di cui lamentarmi”, “Sono stato tanto fortunato”, “Punto”. Non si discute e poco importa avere lavorato per aiutare i genitori in panetteria, o come manovale, o come operaio. E non importa nemmeno se le vacanze scolastiche estive corrispondevano al lavoro in Germania: “Ero fortunato”. Punto. Ecco, sono queste le riflessioni che assumono un carattere essenziale e che fanno già intravedere il percorso di una vita: mai piangersi addosso, ma adattarsi alle circostanze vedendone le positività. Un filosofo spagnolo, José Ortega Y Gasset, affermava: “Io sono io e la mia circostanza e se non salvo questa, non salvo neppure me stesso”. Così, quando ormai Nino Anselmo è in una fase importante della sua carriera e si trova in Libano, un paese devastato dallo guerra civile, dove forse per la prima volta fa i conti con la guerra in maniera diretta, senza alcun filtro, mostrandosi dispiaciuto con una persona del luogo per quello che il paese sta vivendo, trova conferma di quello che già era dentro di sé: si sente rispondere che quello è il paese più bello del mondo e che non c’è niente di cui lamentarsi: e ascolta il racconto riguardante due contadini musulmani che, dopo una faticosa giornata di lavoro, si appoggiano ad un albero a riposare e uno di essi viene colpito sulla testa dagli escrementi di un uccello. E cosa fa il contadino? Si mette a ringraziare e a lodare Allah perché le mucche non volano. “Mi sento piccolo” dice Nino, ma in realtà gli è stato solo esplicitato ciò che lui nella vita aveva già messo in atto: non piangersi addosso se le cose vanno male, ma saper godere di quello che si ha perché potrebbe andare peggio. Laureatosi nel 1970 in Lingue a Venezia (per caso a Venezia, e il caso ha un ruolo fondamentale nella sua vita, come nella vita di tutti), aveva svolto già due dei mestieri a cui sembrava destinato: il panettiere e il manovale… le scarpe mancano ancora… Nel 1977 si dimette dall’insegnamento (il racconto è divertente, come tanti episodi narrati) e diventa capoarea della sezione tessuti della ditta Marzotto, avendo risposto a una inserzione giornalistica, per due aree distanti e diverse: l’Algeria e la Scandinavia. Cominciano gli “ossimorici viaggi caldo-freddo, freddo caldo”, ma rispetto alla Scandinavia avverte la sua “antipodica origine mediterranea” e simpatica è la sua descrizione degli interlocutori vichinghi. Più interessato alla situazione algerina, riceve qui un altro grande insegnamento, questa volta da parte del conte Marzotto che risponde alla perplessità di Nino sul costruire impianti in Algeria per la produzione autonoma di quei tessuti che normalmente gli algerini acquistavano dalla Marzotto. Ciò avrebbe comportato, nella sua visione delle cose, una caduta delle vendite. La risposta è che qualche altro avrebbe costruito gli impianti e, comunque, gli algerini avrebbero continuato ad acquistare i filati: “Piaccia o no, le situazioni cambiano in continuazione. Se non hai la forza di impedire il cambiamento, allora devi imparare a cavalcarlo”. Insomma, bisogna giocare d’anticipo e il conte Marzotto glielo dimostra subito. E non parlo della valigetta legata al polso da una cordicella e di quel che accade… L’anno successivo Nino A. passa alla Segalini come responsabile della vendita dei foulard: interessanti i viaggi in Siria, Libia, Giappone, Benin. Con uno stile sorridente (sì, si avverte il sorriso di Nino, ma soprattutto quello di Andrea Chiesura che in questo caso proprio si diverte a raccontare), conosciamo quei luoghi, la mentalità, gli usi, le situazioni economiche, le piroette tra diverse visioni dei governi, la visione delle relazioni personali e professionali, i giochi di ruoli, l’imperscrutabilità di alcuni popoli, l’assoluta empatia con altri. Ma forse conosciamo meglio anche l’uomo Nino, la parte più intima, i momenti in cui, pur nella importante scalata della sua vita professionale, mentre si trova a Osaka, inghiottito dalle sue strade, si chiede perché, perché non è con Angiola e Luca: “Richiamo alla mente il sentore di grano e miele di Angiola e lo sguardo trasognato di Luca. Penso che il giorno dopo tornerò a casa da loro e tutto mi sembra più lieve”. Nel 1982 diventa direttore delle vendite alla Lotto e il suo livello professionale ed economico fa grandi balzi in avanti… e finalmente si parla di scarpe! Nuovi luoghi, nuovi incontri, figure molto interessanti: Kuwait, Algeria, Arabia Saudita, quante storie, quanti episodi, quanta conoscenza… Khalid accumulatore di scarpe, gli algerini che chiedono uno sconto (ma è solo un gioco di forza), Abdul e la casuale bestemmia ad Allah sul fondo delle scarpe… Lascio ai lettori il piacere della scoperta. Si arriva così alla quarta e quinta parte del libro, rispettivamente “Da dirigente a imprenditore” e “Converse Italia”, parti più impegnative e tecniche in cui si parla di aziende, con le loro ossessioni, i loro problemi e le loro organizzazioni interne, di ruoli aziendali, di marchi e di società di distribuzione, di multinazionali e di fatturati, di aperture di mercati in varie parti del mondo, di fideiussioni, affidamenti, flussi di cassa; ma sono soprattutto le parti in cui vediamo come Nino Anselmo è in grado di muoversi in questo mondo gigantesco, entusiasmante per certi versi, ma irto di pericoli e di persone non sempre limpide, tra talpe, bugie e imbrogli. Un mondo in cui allo splendore del ballo dei debuttanti per l’ingresso in società, fanno seguito successi e sconfitte, e qui le sconfitte non sono solo morali perché si trasformano in perdite. Ma Il nostro Nino ha ormai le spalle forti e possiede grandi insegnamenti per cui bisogna guardare con un sorriso anche ad operazioni che si sono rivelate fregature e sono costate tanto. Però il sorriso nel corso del libro diventa forse più malinconico, come probabilmente è normale in qualsiasi percorso della vita, anche di quello più folgorante. È la parte sesta e poi l’epilogo… Il tempo passa inesorabilmente, ma Nino non ha voglia di limitare i suoi orizzonti spaziali e ha il desiderio di continuare a conoscere il mondo, quasi nella sua interezza. Non può impedire, però, che gli orologi molli, liquefatti di Salvador Dalì ritornino alla sua mente ed evochino la dimensione del tempo, la sua fugacità, la sua dimensione fisica ma anche interiore, il tempo non solo misurato dall’orologio, ma il tempo come una dimensione dell’animo, come durata… e la percezione della durata non sempre coincide con il tempo dei secondi, dei minuti, delle ore, dei giorni… E allora il grande interrogativo: Partire? Restare? Continuare a viaggiare? Fermarsi? Trovare motivazioni per l’una o l’altra possibilità. Scegliere insomma, e la scelta comporta sempre una forma di angoscia; ma forse c’è un’altra malinconica consapevolezza e cioè che, come gli orologi di Dalì, il mondo di Nino, come il mondo di ciascuno di noi, “si sta lentamente liquefacendo”. E allora che fare? Meglio tentare sempre nuove possibilità, come le pale di fichidindia trapiantate a Conegliano, che crescono e danno i loro frutti anche lì. Perché il destino degli uomini sembra “un sistema perfetto, ma dominato dalle regole del caos” e dove giocano un ruolo fondamentale quattro componenti: “predisposizione, preparazione, opportunità, caso”, sistemate come in un chiasmo, con agli estremi le componenti che non dipendono da noi e al centro quelle su cui possiamo intervenire: “Sulla predisposizione e sul caso non possiamo farci niente, d’accordo. Però possiamo prepararci e crearci delle opportunità” e “più ci si prepara e più aumenterà il numero di opportunità che si presenteranno”. “Scarpe diem” è un libro costruito bene, con un andamento per certi versi circolare, perché alla fine troviamo la conferma del punto da cui eravamo partiti, dal punto in cui era iniziato questo grande viaggio… e alla fine ritroviamo le scarpe, le Converse e altro, scarpe di un lungo cammino che ci fanno capire che poi in fondo Nino Anselmo è ritornato alle origini, al papà calzolaio e, come scrive Andrea Chiesura, lui ha fatto le scarpe al mondo. “Più calzolaio di così!”
19.09.2021
Rosalba Gallà