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NUCLEARE A TERMINI IMERESE

Il nucleare non è futuro
Guardare al sostenibile

Su “La Voce” di ottobre tutti gli approfondimenti
“Pretendono che la gente salga su un aereo per il quale non esiste nessuna pista di atterraggio” Questa sentenza lapidaria del sociologo Uhlrich Beck, contenuta in un articolo pubblicato da Repubblica il 24 luglio 2008, è stata scelta da Mario Agostinelli, consigliere regionale in Lombadia, già chimico-fisico in forza all’Enea e per lunghi anni dirigente della Cgil, come distico di un dossier la cui lettura e diffusione sono assolutamente consigliate: “No al nucleare, sì alle alternative”, pubblicato nell’ottobre del 2008 e reperibile sul sito www.oltreilnucleare.it.

Un anno fa, insomma, erano già chiari i termini di una sfida che riguarda soprattutto il nostro Paese: quella del ritorno al nucleare, fortemente voluto dal governo Berlusconi (e non solo).

Facendo il minimo rumore possibile, un passo alla volta, i protagonisti di questa “impresa” stanno già cancellando i risultati del referendum del 1987, quando gli italiani, con una maggioranza schiacciante, dissero un “no” chiaro e forte a chi li aveva fatti salire su un’aero che aveva avuto, come pista di atterraggio, la tragedia di Chernobyl. Il 23 luglio scorso, infatti, è stata approvata dal Parlamento una legge, la n.99 il cui titolo recita testualmente: “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”.

Il ritorno all’atomo avvelenato è tutto in quel “nonché”. In un provvedimento caotico, dove si norma di tutto (dai beni mobili confiscati alle mafie fino al bollo auto) spunta un articolo, il numero 25, con cui si azzerano di fatto vent’anni di storia antinucleare del nostro Paese, frutto di una chiara e limpida volontà popolare. Il “nonché” del titolo diventa una micidiale “Delega al governo in materia nucleare”, che potrà scegliere, senza troppi impacci, come e dove costruire le nuove centrali. E poco importa il fatto che l’energia sia diventata, per riforma costituzionale, materia in cui anche le Regioni hanno potere legislativo. La scelta delle aree su cui realizzare le nuove centrali, solo per fare un esempio, è affidata a decreti che conterranno la “previsione della possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione”. C’è da scommettere che “la previsione della possibilità” di mettere l’esercito a presidio delle aree in cui, per decreto, il governo deciderà di costruire una nuova centrale nucleare sarà una certezza.

Lo stile scelto dal governo Berlusconi (e non solo) per il ritorno al nucleare in Italia, almeno in questa prima fase, è improntato al massimo del risultato con il minimo di attenzione da parte dei media e dell’opinione pubblica. Un autentico capolavoro, da questo pungo di vista, è contenuto in due righe di un piccolo comma del famoso articolo 25. “Al comma 4 dell'articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 – recita la legge- dopo le parole ‘fonti energetiche rinnovabili’ sono inserite le seguenti: energia nucleare prodotta sul territorio nazionale”. Che cosa vorrà mai dire?

Semplice e diabolico allo stesso tempo. L’articolo 11 di questo decreto legislativo, che recepisce una direttiva comunitaria, riguarda le energie rinnovabili. E fino a ieri, il gestore della rete di trasmissione nazionale (quello che decide quanta e quale energia può essere distribuita) doveva assicurare la precedenza “all'energia elettrica prodotta da impianti che utilizzano, nell’ordine, fonti energetiche rinnovabili, sistemi di cogenerazione (…) sulla base di specifici criteri definiti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas”. Dal 23 luglio, la precedenza deve essere accordata anche all’energia nucleare, che con un magistrale colpo di penna rientra, in Italia, nella categoria delle fonti “rinnovabili” e quindi pulite. Nel nostro Paese nasce così, manipolando leggi e linguaggi, l’eco-nucleare.
E’ una strategia, questa del ritorno all’atomo, che non deve essere sottovalutata. Mantenere bassa l’attenzione, per quanto possibile, significa anche ostacolare, con un muro d’indifferenza e di scetticismo, la circolazione delle notizie. Così, mentre il governo e il parlamento definiscono le nuove regole e riorganizzano il sistema di gestione e di controllo, l’Enel e l’Ansaldo, sostenute dall’intenso lavorìo diplomatico del ministro dello Sviluppo Scajola, si lanciano in accordi commerciali (dall’Edf francese ai colossi energetici americani); sollecitano la nascita di filiere d’imprese (la costruzione di una centrale nucleare richiede competenze e tecnologie complesse); operano, insomma, come se i cantieri fossero a un passo dall’apertura.

Il resto del Paese, tranne qualche lodevole eccezione, dorme. O, nella migliore delle ipotesi, è distratto. La stampa si appassiona delle escort e i tessitori del ritorno al nucleare lavorano quasi indisturbati. Un primo segnale di risveglio è arrivato dalle Regioni (Calabria, Toscana, Liguria, Umbria, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Marche e Puglia) che in fotofinish, ovvero quando stavano per scadere i tempi, hanno deciso di accogliere la sollecitazione di Greenpeace, Legambiente e Wwf e di fare ricorso alla Corte costituzionale contro la legge 99/2009, quella del famigerato articolo 25. Il “Comitato per il sì alle rinnovabili e il no al nucleare” cerca di tessere le sue alleanze, a cominciare dalla Cgil. I partiti del centrosinistra sono ancora alle prese con le loro stagioni congressuali e sembrano preoccuparsi d’altro.

Intanto, passo dopo passo, i nuclearisti si fanno strada. Tant’è che, paradossalmente ma non troppo, mi è venuto un dubbio: e se avessero ragione loro? Se le nostre argomentazioni, quelle che nel 1987 hanno convinto la maggioranza degli italiani, non fossero più valide?
Vuoi vedere che la stanchezza, l’assuefazione con cui si leggono, prevalentemente nelle pagine economiche dei giornali, le scarne notizie sui successi dei nuclearisti d’Italia, sono il frutto di una rassegnata capitolazione? Fossimo, noi ecologisti, a corto di argomenti validi, schiacciati come siamo tra l’incubo dei cambiamenti climatici e l’inadeguatezza dei risultati ottenuti nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica? Oppure si confida nel fatto che appena il governo dovrà passare dalle leggi e dagli accordi commerciali alla scelta effettiva dei siti scatteranno fortissime e invincibili rivolte popolari?

Quale che sia la risposta, stiamo comunque commettendo un grave errore di sottovalutazione. Non è affatto scontato che il “no al nucleare” abbia, ancora oggi, soprattutto tra i giovani, lo stesso consenso di 22 anni fa. E’ tutto diverso, compresa la maggioranza che ci governa, sicuramente molto più compatta di allora. E la memoria non figura, purtroppo, tra le virtù degli italiani. C’è bisogno, insomma, di un risveglio antinucleare, per contrastare, con molta più energia pulita di quanto non ne abbiamo impiegata finora, il ritorno al passato.
24.10.2009
Enrico Fontana

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