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RIPARTE LA RICERCA ARCHEOLOGICA A GANGI

Lungo la Via Sacra si torna
a scavare su monte Alburchia

Dal 30 agosto si torna a scavare sul monte Alburchia, luogo simbolo di Gangi al confine tra le Madonie e gli Erei a 968 metri di altitudine, che fu sede di insediamenti umani probabilmente a partire dall'età arcaica. La campagna di scavi è possibile grazie alla messa in sicurezza del costone roccioso e sarà realizzata, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza ai Beni culturali di Palermo in collaborazione con il Comune di Gangi grazie al finanziamento del Ministero dell'Interno.
Il coordinamento dell’indagine archeologica è della Sezione per i Beni archeologici diretta da Maria Marrone e sarà curato da Rosa Maria Cucco, cui si affiancano Filippo Iannì e Santo Ferraro, archeologi dell’associazione culturale Artec.
Gli scavi saranno realizzati nella parete Nord, dove sono visibili le edicole scavate nella roccia, già segnalate negli anni ’90 dall'archeologo Santo Ferraro. “Lo scavo - dice la soprintendente Selima Giuliano - ci consentirà di esplorare un’ulteriore porzione della parete con le edicole sacre e, grazie alle opere di protezione della parete rocciosa, auspichiamo di procedere con l’esplorazione del vano ipogeico del complesso sacro messo in luce nel 2015, la cui indagine fu interrotta per problemi di sicurezza”.
Di rinvenimenti archeologici ad Alburchia parlò per primo un illustre erudito locale del XVIII secolo, il barone Gandolfo Felice Bongiorno. Una vera e propria campagna di scavi, però, fu effettuata nel 1958 da Vincenzo Tusa che rinvenne anche alcuni materiali, oggi esposti al museo archeologico regionale Antonio Salinas di Palermo, che provengono da due zone cimiteriali relative a due diverse fasi di vita di un centro abitato da collocare, verosimilmente, sul Monte: una necropoli in uso tra l’età arcaica e quella classica (VII-V sec. a.C.) e una seconda di età ellenistica (IV-III sec. a.C.).
“Anche questa nuova campagna di scavi si prospetta interessante per meglio definire il quadro delle emergenze storico-culturali della Sicilia”, sottolinea l'assessore regionale dei Beni culturali Alberto Samonà.
Secondo gli storici su questo monte sorgeva un antico insediamento, i cui resti più antichi risalgono al VII secolo a.C.: per alcuni si tratta della città di Herbita, altri ritengono si trattasse di Engyon. Le notizie tramandate dagli storici dell’antichità ne parlano come di una città ricca e costituita da abitanti onesti (Cicerone, Verrine). Una città che, sotto l’impero romano, fornì molti tributi cerealicoli utilizzando per il trasporto la strada Enna-Halaesa che, proprio sotto i romani, era divenuta la città con il porto più importante della zona tirrenica.
La campagna di scavo effettuata sul monte Alburchia da Vincenzo Tusa nel 1958 mise in luce strutture murarie pertinenti a costruzioni, che dimostrano come il sito fosse ancora frequentato in età tardo-antica, ovvero fino al V secolo d.C. Nell’area di necropoli situata lungo la stradella che dalle case Salerno sale verso il monte furono, invece, scavate due tombe (su una ventina individuate) databili ad età ellenistica e precisamente tra fine del IV e II sec. a.C.. Ad oggi, mentre è documentata la presenza di un abitato tardo-antico sul monte Alburchia, non si ha traccia di quello connesso alle tombe di età arcaica-ellenistica da cercare, probabilmente, al di sotto dei livelli di vita tardo-antichi.
L’attenzione su monte Alburchia e sulla parete dove sono state ritrovate numerose edicole, si riaccese nel febbraio 2014 quando il cedimento di terreno di accumulo davanti alla parete rocciosa, portò in luce una nicchia monumentale con due colonnine scanalate sulla fronte. Il rinvenimento fu reso noto dal proprietario del terreno, Giuseppe Salerno, che lo comunicò alla Soprintendenza. Da qui una campagna di scavo che tra il 2014 e il 2015 portò a nuove scoperte. Nella nicchia erano stati rinvenuti: una coppetta acroma, il fondo di una brocca, un chiodo di ferro. Le due colonnine per ragioni di tutela sono state asportate ed esposte al museo Salinas.
La campagna di scavo del 2014 aveva lo scopo di indagare la parete interessata dalle edicole che potevano essere più monumentali di quelle finora visibili. Gli scavi non delusero le aspettative: oltre al rinvenimento di altre nicchie della medesima tipologia di quelle note – incasso quadrangolare con interno intonacato – fu rinvenuto, infatti, un architrave in pietra con dentelli, certamente il coronamento di un’edicola, e un’ulteriore edicola monumentale denominata E 123. Straordinaria fu poi la scoperta di un vano scavato nella roccia, con un basamento cubico davanti l’ingresso.
Tutto il complesso rupestre di monte Alburchia riveste un’importanza notevole in quanto documenta come questa zona tra il III e il I secolo a.C., epoca in cui si datano le edicole, non fu isolata ma ebbe contatti con altri centri della Sicilia e probabilmente del Mediterraneo, dove sono state rinvenute nicchie dello stesso tipo scavate nella roccia: Alessandria d’Egitto, Ustica, Lilibeo, Segesta, Enna, Agrigento, Akrai (Palazzolo Acreide). Anche sulla base dei confronti con altre realtà analoghe è possibile ipotizzare che le nicchie di Alburchia fossero disposte lungo una via sacra, e precisamente la strada che, provenendo dalla necropoli ellenistica scavata da Vincenzo Tusa, procedeva verso l’abitato, situato sulla sommità del monte.
Ed è verosimile che un tempo anche le edicole di Alburchia contenessero quadretti raffiguranti i defunti, venerati come eroi.
15.08.2021

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