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La fiction sulle giurate svela il cuore civile di Cefalù

Cefalù si riconosce, e anche con un pizzico di orgoglio, nel senso civico che ha restituito la docufiction “Io, una giudice popolare al Maxiprocesso” trasmessa da Rai Uno. La vicenda delle tre giurate ha ripercorso i momenti anche privati e poco conosciuti di un’esperienza che ha contribuito a cambiare, come andava ripetendo il presidente Alfonso Giordano, la storia della Sicilia. A rendere più vivida e a tratti drammatica la narrazione sono stati gli inserti delle immagini tratte dagli archivi del tempo e i racconti dei testimoni che hanno tracciato il profilo di una grande storia. Una storia, ha osservato il sindaco Rosario Lapunzina, che è la “rappresentazione del senso civico di persone normali che hanno consentito di riscattare l’onore della Sicilia”. Con il maxiprocesso, è stata l’ultima sofferta testimonianza di Mario Lombardo che della giuria popolare era componente, “stava rinascendo la speranza dei siciliani onesti”. Il regista Francesco Micciché ha colto il senso storico di un caso giudiziario emblematico nato dalle inchieste del pool antimafia di Falcone e Borsellino. Ma ha saputo anche portare lo sguardo sull’intreccio di tormenti privati, sofferenze individuali e sconvolgimenti familiari che rendeva molto difficile la vita alle tre donne protagoniste del docufilm. I loro percorsi alla fine si sono ritrovati attorno a una comune visione civile e alla consapevolezza che la loro parte andava fermamente sostenuta. Anche a dispetto dei messaggi intimidatori, diretti o subliminali che fossero. Cefalù c’era dentro questa grande storia e per questo ora il sindaco può esprimere la fierezza per le vicende di tre concittadini – Franca Agnello, Teresa Cerniglia e Mario Lombardo – che hanno contribuito a fare diventare Cefalù “simbolo di riscatto e rappresentazione degli alti ideali di legalità e giustizia”. E per questo il film dovrebbe essere portato anche nelle scuole. Intanto è stato il programma più visto in prima serata con tre milioni e 389 mila spettatori. Ma mentre il giudizio di valore sulla fiction e sugli interpreti, tra i quali Nino Frassica nella parte del presidente Giordano, è unanime non altrettanto può dirsi di alcuni squarci su quella ostilità ambientale che avrebbe incalzato giudici e giurati. L'ostilità, che comunque c’era, si sarebbe manifestata anche a Cefalù. Ma qui la finzione avrebbe forzato la realtà come alcuni non mancano di sottolineare richiamando soprattutto le scene in cui la giurata “Caterina” subisce la fastidiosa astiosità del fruttivendolo che le nega una melanzana con il pretesto che “è tutto prenotato”. Atteggiamento che la giudice popolare, ormai scortata e protetta in ogni momento, ritrova perfino nei compagni di classe del figlio. Ma davvero Cefalù ha espresso queste ostilità? Si tratta certamente di piccoli spazi che la tecnica narrativa cinematografica ha occupato per rappresentare un problema più generale. Ma Cefalù, che dalla fiction trae comunque un’immagine simbolica di grande impegno civile, non ha nulla a che fare con il personaggio immaginario del fruttivendolo. Quello stereotipo cinematografico, che spesso ritorna, contrasta con il comportamento reale di una città che non solo ha saputo apprezzare le scelte dei propri giurati ma li ha sostenuti e li ha sempre circondati da affetto e rispetto. Venivano, e sono, riconosciuti secondo Lapunzina come "chiaro esempio di come si può essere eroi in virtù di una circostanza inattesa, persone perbene in conseguenza di una precisa scelta di vita, consacrata, giorno per giorno, dal valore dell’esempio".
04.12.2020
Fausto Nicastro