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19.08.2015
Riccardo Gervasi
Riccardo Gervasi
Le 71.643 domande pervenute al Miur il 14 agosto, per la stabilizzazione dei docenti precari, rappresentano un vero flop per il governo guidato da un ex boy scout. Se la matematica non è un’opinione, infatti, di domande ne sarebbero dovute giungere almeno il doppio. Basti riflettere, appunto, sui numeri: 150.000 sono i precari inseriti nelle Gae; 29.000 sono i docenti assunti nelle fasi 0 e A; e poi vi sono quei docenti non inseriti nelle Gae ma nelle graduatorie di merito del precedente concorso a cattedre. Lo stesso ministero, poi, si attendevano all’inizio circa 130 mila domande di immissione in ruolo. E invece le domande sono state di gran lunga inferiori alle attese. Addirittura sembrerebbe dai dati numerici che risulterebbero scoperte 2.000 cattedre. Insomma, questo piano assunzionale voluto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, esclusivamente per far fronte alla sentenza della corte di giustizia europea, ha una forte valenza politica perché su di esso si fonda la riforma della scuola da tutti contestata, ma approvata a colpi di fiducia.
Se poi si analizzano in dettaglio i numeri delle domande provenienti dalle diverse regioni d’Italia, appare chiaro il fallimento dell’esecutivo che dovrebbe dimettersi senza se e senza ma. Infatti, a fronte delle 23.000 domande provenienti dalla Sicilia e dalla Campania – ( rispettivamente 12.000 e 13.000) – regioni come il Piemonte (poco più di 2.000 domande), la Lombardia (circa 3.600 come il Veneto) ed il Molise con 711 domande, hanno fatto registrare un vero e proprio flop per la politica assunzionale del governo.
Altro che cantar vittoria, altro che augurare il buon ferragosto ai precari che hanno presentato la domanda per il ruolo, questo esecutivo ha ormai dimostrato tutti i propri limiti. Limiti che ogni volta si tenta di oltrepassare con la forza dell’autorità, a colpi di fiducia, infischiandosene della piazza e delle manifestazioni democratiche. Siamo dinnanzi a un esecutivo che dissimula con gli slogan l’assenza di una politica che non è soltanto quella scolastica, ma che dalla scuola si estende ai più disparati settori della vita pubblica. Giustizia, sanità, scuola, economia, politica estera, sono tutti settori nei quali ci si muove ormai a tentoni, affidandosi unicamente ai facili slogan trionfalistici di mussoliniana memoria.
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