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MOSTRA DI SARO CURCIO A CEFALÙ

Fémina, volti di donne
storie vere di vita

Fémina, una mostra come un viaggio nel tempo e nello spazio, affascinante e ricco di sorprese, che permette di incontrare gli sguardi di molte donne, anzi di femmine, che tanto hanno da raccontare a chi ha voglia di perdersi nell’osservazione dei loro ritratti. Fémina, non femmina e non donna o donne, probabilmente perché Saro Curcio vuole condurci all’origine linguistica e culturale della “femminilità”, alla espressione antica e poetica, che vuole la fémina feconda e fruttifera dal punto di vista biologico. Con il tempo il termine femmina (e alcuni suoi derivati) ha assunto una connotazione spesso negativa, contrapposto a donna, domina, signora. Nella mostra di Saro Curcio, allestita presso Bastione Innovazione cibo - cultura, si incontrano femmine, donne feconde, non necessariamente dal punto di vista biologico, ma culturale, sociale, artistico. L’esposizione è visitabile fino al 12 novembre 2019, presso Bastione Innovazione Cibo -Cultura.
Le sei sezioni della mostra, che abbracciano un periodo artistico di venti anni (1998-2018) sono altrettante finestre sul mondo femminile, permettono di affacciarsi sulla sua eterogeneità e sulla sua molteplice bellezza, fuori da ogni stereotipo e da ogni convenzione, perché la bellezza è una dimensione che si irradia dall’interno e che può trovare espressione anche nel reticolo delle rughe di un volto che, nelle sue trame, racconta una storia.
Ritratti di donne, dunque. Ritratti di donne nate dalla intelligente scrittura di Santa Franco: sono le femmine della sezione Interpretazioni, presenti nel libro “Donne di zagara”, donne conosciute attraverso la parola e che diventano vive attraverso il segno di Saro Curcio, segno forte e duro, come forte e dura è stata la vita di quelle donne, segno corposo per dare plasticità a quelle storie che abbiamo imparato ad immaginare.
Sono donne molto diverse l’una dall’altra, legate però, come dice il titolo della sezione, da una luce interiore che si irradia verso l’osservatore: Audrey Hepburn, Rita Levi-Montalcini, Alda Merini, Frida Kahlo, Michelle Obama, Marylin Monroe, Maria Callas. Quanta diversa bellezza nello sguardo elegante e raffinato di Audrey; in quello intelligente e arguto di Rita; in quello dolce e sofferente di Alda; nello sguardo negato di Frida; in quello deciso e penetrante di Michelle; in quello sensuale e malinconico di Marylin. E se nel ritratto lo sguardo è il veicolo comunicativo fondamentale, non si può non riconoscere il valore di coinvolgimento delle mani: la mano di Alda Merini, con l’immancabile sigaretta, piena e morbida, proiettata verso l’osservatore, in un gesto interlocutorio che vuole essere di apertura e di sfida da parte di una donna che può continuare ad esistere poeticamente, nonostante tutto e tutti; la mano di Rita Levi-Montalcini, asciutta e rugosa, quasi una scultura, appoggiata al mento, non per sorreggerlo, ma per completare un aspetto sapiente ed esperto; la mano di Marylin Monroe, con un dito appoggiato sui denti, in una posa accattivante e seducente. Certo, si tratta di ritratti mediati, ma originale è il tratto della china di Saro Curcio, che ora scurisce, approfondisce, dà spessore, ora sfuma e ammorbidisce il segno, in un corposo gioco di luci e ombre che imprime e sintetizza nei volti e nei gesti delle mani il senso di un’esistenza. Altro elemento di novità e originalità è l’introduzione dell’acquerello in alcuni dettagli (come le labbra o alcuni elementi di abbigliamento) e nello sfondo, che sapientemente esprime ora le emozioni delle sfumature calde dell’ocra, ora quelle relative ai freddi toni del blu e del viola, ora una simbiosi delle une e delle altre, a seconda della personalità delle protagoniste.
C’è poi la sezione dedicata alle “Donne di Carta”, eroine dei fumetti che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo, in un limite vacillante tra bene e male. Esse vengono presentate con il tipico tratto grafico deciso, pieno, soprattutto paziente, fatto di stratificazioni volte ad ottenere effetti scuri. Si tratta di un omaggio ai grandi fumettisti (basti pensare alla Valentina di Guido Crepax o alle eroine dell’universo Marvel Comics o DC Comics) e un ritorno alle sue origini artistiche, a quando, negli anni Ottanta, Saro Curcio realizzava fumetti, pubblicati su “La città futura”, su “Eureka” e su “L’Unità” e, grazie a una collaborazione con Giuseppe Tornatore, fumetti satirici che furono animati e doppiati su Rai3.
In questo caso, però, tra le eroine ritratte dall’artista, la mia simpatia va alla copertina della sezione, dedicata a Mafalda, bambina di carta creata da Quino, dotata di uno sguardo lucido e disarmante sulla realtà, capace di spiazzare i saggi adulti e che, tra tante figure biopotenziate, coraggiose, trasgressive, violente, assassine, richiama la sua attenzione, esclamando “Ehi… ci sono anch’io!”. Ci riporta con i piedi per terra questa bambina che odia la minestra e che per questo è molto umana e simile a tanti bambini reali, ma che è capace di confrontarsi con problematiche immense di politica, economia, società, con gli occhi limpidi della fanciullezza che riesce a smascherare i calcoli e le meschinità del mondo dei grandi. Il tutto si riassume nella costante attenzione al suo mappamondo, espressione della cura che si deve al nostro pianeta per guarire la sua febbre e tutti i suoi malanni, messaggio di grande attualità.
Ai ritratti di donne reali si ritorna definitivamente con le ultime tre sezioni della mostra, For The Peace, Divine e Serie Etnica.
Bellissime le tavole che ritraggono le donne insignite del Premio Nobel per la Pace, in cui emerge tutta l’ “Intima Bellezza” di vite dedicate agli altri, nelle molteplici possibilità in cui l’impegno per un’umanità migliore può essere sperimentato e attuato, anche da ciascuno di noi. Piccole grandi femmine, fecondatrici di pace e solidarietà: Bertha Sophie Felicita von Suttner (la prima donna a ricevere il Nobel per la pace nel 1905, nella copertina della sezione), Jane Addams, Aung San Suu Kyi, Wangari Muta Maathai, Leyman Gbowee, Malala Yousafzai (la più giovane in assoluto a essere insignita del prestigioso riconoscimento) e Madre Teresa di Calcutta. Tutte le tavole sono particolarmente interessanti, soprattutto per la sapienza con cui due tecniche si compenetrano, realizzando un tutto compatto dove il segno della china si arricchisce e ammorbidisce con le sfumature umide dell’acquerello, sempre più presente e sempre più ricco nella composizione del colore, che raggiunge la massima espressione nel ritratto di Malala, nel copricapo riccamente decorato, in cui l’abbondanza di colore sembra colare e sfumare verso il basso. Il ritratto di madre Teresa, però, ha una potenza che supera ogni limite, oltrepassa la bidimensionalità e diventa scultura. Ritratta dal basso, è l’unica donna della serie che non rivolge lo sguardo verso l’osservatore: guarda altrove, verso distanze infinite, con i suoi occhi stretti e penetranti, con il tracciato profondo delle rughe del suo volto, le labbra serrate in una concentrazione che va oltre l’occasione del momento per rivolgersi all’umanità tutta, con un riguardo particolare ai sofferenti e ai dimenticati. Le braccia incrociate davanti al busto, la mano che si intravede chiusa in un pugno, anch’esso tracciato da mille trame, amplificano la plasticità della figura e la composta serietà di questa piccola donna che qui diventa imponente. Quasi tutto è in bianco e nero, il tratto della china e lo sfondo in acquerello su sui si staglia la figura, sfondo che evoca un cielo nero in tempesta non temuto dalla solidità statuaria di Madre Teresa, addolcita solo dal lieve azzurro del bordo del sari.
Nella sezione “Divine” ci vengono presentate sei grandi attrici italiane che hanno avuto o hanno grande risonanza internazionale: il mondo dorato della loro esistenza (se ci fermiamo alla superficie della vita) è reso senza più la durezza del segno grafico che abbiamo imparato ad apprezzare nelle precedenti serie di donne, ma con il colore ricco dell’acquerello, che ora predilige i toni più forti, ora quelli più sfumati, sempre caratterizzato da una luminosità che si irradia verso l’osservatore. Così incontriamo Sofia Loren, Stefania Sandrelli, Claudia Cardinale, Monica Bellucci nella loro bellezza superba e poi Anna Magnani e Monica Vitti, intense e affascinanti nella loro bellezza alternativa, forse imperfetta, ma anche per questo unica e irraggiungibile. Unici gli occhi di Anna, profondi e corrucciati, resi più penetranti dalle occhiaie e dalle rughe della fronte: la sua bellezza è un po' sfatta e abbandonata, ma irradia una luce che nasce dalla profondità; dorata la tavola che ritrae Monica Vitti, che si ispira ad una nota foto, ma che risulta originale nella rotazione del volto, nei colori e nella interpretazione delle mani su cui il volto si appoggia.
Infine la “Serie Etnica”, che in maniera circolare ci porta all’origine del percorso tematico di Saro Curcio e alla sua conclusione (2018), almeno per adesso… L’universo femminile è così ampio, che tante terre restano inesplorate e Saro avrà tempo di percorrerle. È una sezione che ci conduce in giro per il mondo, in contrade poco battute, ma palpitanti di vita, di colore, di cultura, tra popoli che conservano le proprie ataviche tradizioni, distanti dalla massificante condizione del mondo contemporaneo. Popoli ricchi di colori, come i costumi delle donne e i loro ornamenti, che hanno probabilmente indotto l’artista alla tecnica dell’olio e dell’acrilico, che con la loro corposità meglio rendono lo splendore e la ricchezza decorativa dell’abbigliamento femminile. Ed ecco la Madonna Indiana (1998), la Famiglia Curda (2007), la Karen Padaung (2007), dell’area tibeto-birmana, la Donna Cuna (2018), delle isole San Blas, Panama, la Donna Bonda (2018), appartenente a minoranze di territori indiani, e la Donna Miao (2018), di un piccolo gruppo etnico in territori cinesi. Sono donne che esprimono valori diversi, usi a noi estranei, provenienti da lontano, nello spazio e, soprattutto, nel tempo: e l’artista ce le presenta con un messaggio che è quello del rispetto dell’altro, di ciò che appare diverso e che per questo desta spesso sospetto e timore, messaggio quanto mai attuale.
16.10.2019
Rosalba Gallà

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