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Servizio idrico, Comune di Cefalù
non riconosciuto come socio Amap

Il Comune di Cefalù non può essere considerato un socio dell’Amap, l’azienda del servizio idrico di Palermo. Lo ha deciso il tribunale civile di Palermo che ha condannato il Comune a pagare all’Amap le spese del giudizio: in tutto 20 mila euro.
La decisione scioglie per ora (è una pronuncia di primo grado) un nodo molto controverso fatto di ricorsi e controdeduzioni, ma anche di rimpalli di responsabilità economiche e patrimoniali. Tutto nasce dal fatto che il Comune ha valutato molto onerosa la potabilizzazione dell’acqua. E per alleggerire la propria esposizione ha contrastato la decisione dell’Amap di farsi da parte lasciando la gestione del servizio idrico integrato.
Il Comune ha contestato la decisione reclamando la propria qualità di socio dell’azienda. Ma proprio su questo punto il tribunale ha seguito la tesi dell’Amap. Il consiglio di amministrazione dell’azienda nella seduta del 4 marzo 2016 aveva deliberato di prendere atto delle sottoscrizioni di capitale da parte dei comuni nuovi azionisti. Non era stata invece considerata regolare la sottoscrizione delle azioni da parte del Comune di Cefalù. Secondo il tribunale, c’era solo la delibera della giunta ma non quella del consiglio comunale.
Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese di giudizio.

LA POSIZIONE DEL SINDACO ROSARIO LAPUNZINA - Accogliamo con rispetto, ma anche con vivo disappunto, la sentenza con cui il Tribunale delle Imprese ha respinto la richiesta del Comune di Cefalù di vedere riconosciuta la propria partecipazione azionaria al capitale sociale di Amap. Difformemente da quanto stabilito dal giudice di primo grado, riteniamo che la mancanza della deliberazione di affidamento trentennale da parte del consiglio comunale (di cui pure era stata proposta l’adozione, ma in relazione alla quale il consesso dell’epoca negò i presupposti di necessità ed urgenza) non possa essere considerato elemento indispensabile ai fini del perfezionamento dell’adesione.
Ciò, in quanto l’affidamento della gestione del servizio non compete al singolo ente locale, ma all’Autorità d’ambito cui per legge è trasferito l’esercizio delle competenze in materia di gestione delle risorse idriche.
L’affidamento, in via definitiva, all’Amap era già stato effettuato dall’Ato 1 Palermo già nel maggio del 2015, fissandone la decorrenza alla data di ingresso degli enti locali territoriali nella compagine sociale, cioè alla data delle sottoscrizione delle azioni.
Al di là del formalismo, che pur riteniamo infondato, sono evidenti e sono stati più volte resi espliciti i motivi per i quali al Comune di Cefalù è stata negata la gestione del servizio idrico integrato e risiedono tutti nei costi che si determinano con la potabilizzazione della risorsa idrica e dei quali nessuno degli altri soggetti in campo vorrebbe farsi carico, giacché gli stessi, com’è noto, debbono trovare copertura nella tariffa unica d’ambito, ed essere quindi redistribuiti in ambito provinciale.
È questo uno dei motivi per i quali il nuovo organo di governo dell’ambito, insediato nell’aprile del 2016, non ha ancora adempiuto a quanto prescritto dalla legge, in tema di gestore unico.
Solo il 27 settembre scorso, l’assemblea territoriale idrica (Ati) ha deliberato l’affidamento della gestione per tutti i comuni (esclusi quelli con popolazione inferiore a mille abitanti o quelli situati in zona parco e dotati di fonte di pregio) proprio alla medesima Amap (!), ma ha anche stabilito che la deliberazione avrà efficacia solo al compimento di atti futuri, che dipendono dal medesimo organismo, il quale vi avrebbe dovuto provvedere già da oltre due anni, e non lo ha fatto.
La delibera del 27 settembre è quindi solo un modo come un altro per dare l’idea di adempiere, al fine di evitare il commissariamento da parte degli organi superiori. È per questo che il Comune di Cefalù, come già aveva annunciato, ha inoltrato ricorso al Tar di Palermo, perché condanni il mancato adempimento dell’Ati (e di chi avrebbe dovuto adottare i poteri sostitutivi) e accordi all’ente il risarcimento dei danni subiti in questi tre anni. A chi si esercita in critiche o in sterili ironie, chiediamo di adoperarsi finalmente nel formulare quelle proposte alternative a una linea che, oltre ad essere conforme alla legge, ci pare spirata al buon senso.
13.10.2018

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