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CONCLUSA LA MOSTRA DI FRANCESCO BIONDO

La storia dipinta, il passato
che legge e graffia il presente

“Ma chi l’ha detto che le date sono solo numeri?”. Già, chi l’ha detto e chi può dirlo? Sappiamo bene quanto siano importanti le date e quanto sia importante il recupero della loro memoria, in controtendenza rispetto a una teoria e a una prassi pedagogica che negli ultimi decenni hanno voluto bandire il processo mnemonico (quasi demonizzato) dalla didattica: non ci può essere conoscenza senza memoria e non ci può essere memoria storica se non attraverso la capacità di collocare gli eventi in un periodo ben preciso, in una data, e senza la consapevolezza che ci sono date simboliche che hanno determinato svolte, cambiamenti, cesure, in un processo di trasformazione in cui, però, anche la più grande rivoluzione conserva qualcosa del periodo precedente. Ci sono date ‘mondiali’, riconosciute universalmente come fondamentali; ci sono date ‘personali’, legate ai singoli percorsi esistenziali.
Tra questi due estremi, ci sono innumerevoli date, collocate lungo la linea del tempo e della storia, all’interno delle quali ciascuno di noi può scegliere quelle che, dal proprio punto di vista, costituiscono un punto di riferimento, una pietra miliare, un fondamentale momento della storia.
Così, mi piace pensare che attorno a una data universamente conosciuta e riconosciuta ve ne siano tante altre a formare una ‘costellazione’, in cui viaggiare per approdare a date sempre più importanti per la propria percezione della realtà e dello sviluppo storico. Se l’anno 476 è considerato in tutti i manuali di storia come data conclusiva dell’Impero Romano d’Occidente, quante altre date precedenti e successive hanno un’importanza fondamentale come momenti preparatori o come sviluppi successivi! E perché non puntare l’attenzione su di esse e farne il centro della storia o di un storia?
Tempo, Storia, Arte: lungo queste direttrici si è dispiegata la mostra "La storia dipinta" di Francesco Biondo presso l’Ottagono di Santa Caterina, patrocinata dal Comune di Cefalù, e conclusasi il 29 agosto. Calandomi nel mondo di Francesco Biondo, anch’io ho fatto una scelta: non la data di inaugurazione, ma quella della conclusione. Perché? Perché probabilmente Biondo ama le date che lasciano la “scia” e questa mostra lascerà una scia a Cefalù, come evento nato da una perfetta sintesi tra arte, cultura e impegno civile, vale a dire bellezza, conoscenza e cittadinanza attiva. Come dice Luigi Tua nel pieghevole di presentazione della mostra, Francesco Biondo “non sceglie quasi mai le date centrali degli eventi, più note, ma quelle che ne definiscono in modo indelebile l’ambiguità della conclusione. Più che dagli eventi in sé, l’autore è ispirato dalle loro scie. Dalle pennellate che lasciano sulla sua memoria”. E certamente nella nostra memoria resteranno le sue pennellate e il suo colore disteso con le spatole, e non solo: resteranno le parole, le note, le atmosfere del Reading della storia dipinta - I deboli e i potenti, nella Sala delle Capriate, nel giorno della presentazione e dell’inaugurazione della mostra. Un insieme di letture, recitazione e musica a cura di Alberto Culotta, Gaia Biondo e Michele Orlando, che hanno avuto la capacità di farci vedere la mostra prima di visitarla, non attraverso le arti visive, ma con la potenza delle parole e delle note, della poesia e della musica, della denuncia verbale e dell’enfasi musicale, a conferma della profonda interazione esistente tra le diverse espressioni artistiche.
Quella di Francesco Biondo è stata una personale che allo stesso autore, in un processo di estraneazione da essa, è apparsa come una mostra collettiva in quanto basata sul frammento, su ogni singola data, senza uno sviluppo cronologico e, quindi, senza un percorso da seguire nella visita: tante opere realizzate in momenti diversi su diversi momenti della storia, in un rapporto bidirezionale in cui la storia si fa arte e l’arte si fa storia.
Date come pietre, con un peso che resta nell’animo dell’osservatore, che porta via con sé materia per riflettere, per ripensare gli eventi e (perché no?) per cercare notizie, per approfondire, per conoscere. Per tutto questo si può senz’altro affermare che la mostra è stata un’operazione colta in cui l’arte offerta allo spettatore ha lasciato un segno, una “scia”. E ancora, per tutto questo sono importanti le parole, anch’esse “pietre”, quelle delle didascalie che hanno accompagnato ogni opera e quelle dentro il dipinto, a volte graffiate nelle tele, perché le parole graffiano (e devono graffiare) le nostre coscienze. Colori, forme, parole hanno condotto l’osservatore in un viaggio nel tempo, più o meno lontano, ma che riconduce al presente e alla sua complessità, perché nessun evento si chiude mai definitivamente, ma lascia echi nella storia che verrà. E allora, la complessità dell’oggi può essere dipanata solo attraverso una piena consapevolezza di ciò che è stato: così "La storia dipinta" diventa non solo un omaggio alla storia, ma soprattutto un richiamo al presente, alla necessità di un risveglio della coscienza civica e della partecipazione attiva agli eventi.
29.08.2018
Rosalba Gallà

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