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martedì, 16 aprile 2024 ore 16:40
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Il ritorno della vecchia mafia,
11 arrestati nelle Madonie

Blitz contro il clan di San Mauro
Blitz dei carabinieri contro capi e gregari della cosca di San Mauro Castelverde regno della famiglia Farinella: 11 i fermi compiuti all’alba in Sicilia, Lombardia e Veneto per ordine della Dda di Palermo. Le accuse vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, alla corruzione, al danneggiamento. L’operazione ha messo a fuoco, ancora una volta, il profilo e gli interessi di un’organizzazione che è diretta da capi storici anche detenuti. Fondamentale, secondo l’inchiesta condotta da magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, il ruolo svolto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico. Proprio "Mico" Farinella era tornato in libertà dopo la rideterminazione della pena stabilendosi a Voghera da dove avrebbe continuato a dare ordini agli uomini del gruppo tradizionalmente alleato dei corleonesi di Totò Riina. Le indagini documentano gli assetti e le dinamiche criminali del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde che, all’indomani dell’operazione “Black Cat” (aprile 2015), ha serrato le fila e ha continuato a operare, “imponendo il proprio potere con inalterata capacità intimidatoria”, come si legge nel provvedimento.
In tale quadro si inseriscono numerose estorsioni ai danni dei commercianti documentate dai carabinieri, così come l’organizzazione di una “efficientissima rete di comunicazione necessaria agli storici capi mafia detenuti per mantenere il comando degli affiliati liberi e continuare a strangolare imprese e società civile”.
Di grande rilievo sarebbe, secondo gli investigatori, il ruolo ricoperto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico boss di cosa nostra all’epoca detenuto a Voghera in regime di alta sicurezza. Il sistema di controllo dell’organizzazione mafiosa, basato sui rapporti di consanguineità, avrebbe permesso al capo mafia detenuto di mantenere il controllo del mandamento. Nonostante la giovane età, l’uomo avrebbe avuto il compito di coordinare gli altri boss e gregari che operavano sul territorio, cooperando con uno storico mafioso di Tusa, quello di Gioacchino Spinnato. Proprio questo gruppo avrebbe gestito i contatti con gli uomini d’onore degli altri mandamenti, fra i quali Filippo Salvatore Bisconti, già capo del mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno, ora collaboratore di giustizia.
Dalle indagini è emerso che le estorsioni continuano a essere una forma di sostentamento primario per il sodalizio mafioso. Fondamentale è stata la collaborazione degli imprenditori vessati. Sono state infatti ricostruite undici casi (cinque estorsioni consumate e sei tentate). Alle vittime era imposto di pagare il pizzo o di acquistare forniture di carne da una macelleria di Finale di Pollina gestita da Giuseppe Scialabba, braccio destro di Giuseppe Farinella.
I tentacoli del mandamento si erano allungati anche sull’organizzazione dell’Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina, quando, per impedire la partecipazione alla sagra di un commerciante che non si era piegato alle imposizioni del clan, gli indagati gli avevano devastato lo stand.
Tornato in libertà, nell’aprile 2019, Domenico Farinella avrebbe deciso di concentrare nelle sue mani il vertice del sodalizio e avrebbe ordinato ai suoi uomini di intensificare la presenza sul territorio, avviando una nuova spirale di estorsioni ai danni dei commercianti. Preziosissime, in questo senso, sono state le testimonianze delle vittime che, ribellandosi al sistema criminale, hanno trovato il coraggio di denunciare tutto e di collaborare con i carabinieri.
Le indagini hanno consentito di evidenziare anche la capillare e asfissiante influenza dell’organizzazione mafiosa sul tessuto economico non soltanto attraverso l’imposizione del pizzo, ma anche attraverso la “sensaleria” negli affari dei privati e per mezzo della gestione diretta di attività di impresa che erano fittiziamente intestate a soggetti incensurati ma nei fatti amministrate dagli indagati.
Per eludere eventuali misure cautelari, infatti, Giuseppe Farinella e Giuseppe Scialabba avevano fatto risultare terze persone quali titolari rispettivamente di un centro scommesse di Palermo e una sanitaria di Finale di Pollina, ora sequestrate, del valore di un milione di euro.
30.06.2020

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